"MAMMA, DOVE SONO GLI ANGELI?"
I bambini e la morte: un dialogo necessario

Di Tatiana Bellicini-Pellegri



Guardo i miei bambini che giocano al parco, saltano, ridono, si rincorrono. Siamo fortunati, la nostra casa e la nostra vita sono piene di vita che cresce, che cambia, che sboccia. Siamo nel pieno dell'esistenza, con tanti progetti davanti a noi, eppure sento la necessità impellente, prorompente di educarli, anzi di educarmi alla morte.

La morte sembra lontana, ma è solo un'apparenza perché la morte è lì, compagna inevitabile e scomoda. Con un po' d'attenzione possiamo coglierla in ogni alito di vita, la nostra vita è mortale e gli esempi non mancano.

Per quale ragione non ne parliamo quasi mai, e ancora meno affrontiamo questo spinoso argomento con i nostri figli? Forse perché la morte resta un avvenimento spaventoso, terribile, la paura è atavica. Siamo riusciti ad allontanarla, a rinchiuderla tra le mura degli ospedali o delle cliniche, a posticiparla grazie alle differenti terapie, mala morte non è una malattia, dalla morte non si guarisce.

Eppure è strano, attorno a noi i segni della morte scompaiano a poco a poco. Non si vedono quasi più donne vestite a lutto con il capo copertine/coperto, gli uomini non portano più nastrini neri attorno alle maniche, il traffico non si blocca per il passaggio di un corteo funebre e raramente si sentono suonare le campane a martello. Eppure i media, giornali, radio e televisione concedono uno spazio sempre più grande alla morte. Attentati, incidenti, conflitti, assassini, la morte c'è offerta in spettacolo. Ma è sempre il sangue degli altri, non è mai il nostro. Una morte quasi esotica, alla quale assistiamo passivamente e che addirittura rende la nostra sempre più improbabile e rafforza il sentimento d'invulnerabilità che alberga in noi da sempre.

Per le generazioni passate era differente, esse hanno pagato un grande tributo di vite umane, la morte era frequente tra i bambini ed erano poche le famiglie che non perdevano uno dei loro membri. Negli ultimi decenni la medicina ha apportato grandi cambiamenti, la diffusione dei vaccini ha sradicato molte gravi malattie, per lo meno in Europa. L'impiego di antibiotici ha contribuito ad un costante calo di patologie infettive, le terapie antitumorali sono efficaci su molti tumori, specialmente nei tumori infantili. Non possiamo e non desideriamo nemmeno ritornare in dietro nel tempo, non possiamo ricostruire per i nostri figli una società rurale, nella quale quando c'era un moribondo in casa gli si stringeva attorno la famiglia esprimendo, con semplicità, affetto e comprensione. Il tempo si fermava, si facevano gli ultimi addii, le raccomandazioni finali. E quando la morte arrivava erano ancora tutti lì a preparare la salma e la casa per accogliere i parenti e gli amici venuti da lontano. Possiamo solamente partire da quello che abbiamo, cercare di fare nostra la morte con gli strumenti che possediamo e che non sono pochi.

L'esperienza che faccio quotidianamente occupandomi dei miei figli è che per i bambini la morte è un concetto chiaro che cambia con l'età. Sono impauriti, ma non di più di quanto lo siamo noi adulti, ciò che i bimbi temono è il restare soli, il dolore e la mancanza di amore. Per nostro figlio più piccolo la morte è un distacco, il coniglio non c'è, è andato via. Per il nostro terzogenito che ha quattro anni la morte è reversibile, la bisnonna non è morta, in altre parole è morta ma si è trasferita al cimitero ed ora abita là. Nostra figlia maggiore è già stata contaminata dagli adulti, e crede che le persone morte vanno in paradiso, che è pieno di angeli, ma gli si legge in faccia il turbamento, Gesù così buono perché ha preso la mamma di una sua amica, non poteva prendere qualcun altro?

"Questo viaggio verso la morte, e i suoi perché, ci porta insieme alla ricerca di qualcosa che è una ragione per la morte ma anche la sola ragione
per vivere"

Qualche anno fa, mentre il nostro aereo decollava per le vacanze, mia figlia, che allora aveva due anni e mezzo, cercava incuriosita di arrivare al finestrino. Appena raggiunta la quota prestabilita chiese con delusione dove fossero tutti gli angeli e tutte le persone che erano morte. Allora ero una mamma inesperta, volevo avere una risposta per ogni domanda, e non senza imbarazzo, gli affermai che gli angeli erano ancora più in alto. Dopo avere parlato di angeli siamo passati alle farfalle. Il nostro corpo è paragonabile a un bruco che cambia, cresce, mangia e dorme, certi bruchi vivono a lungo, certi poco ma alla fine tutti muoiono per lasciare il posto a una farfalla e le farfalle sono bellissime e volano libere nel cielo.

Mi ci sono voluti anni di domande sempre più precise ed imbarazzanti prima di ammettere che del paradiso non ne sapevo nulla, che i quadri dipinti nelle chiese erano una rappresentazione della fantasia dell'autore, che mai nessuno che conosco aveva visto degli angeli, e che non sapevo perché certi bambini muoiono ancora piccoli, e che non sapevo neppure perché si deve proprio morire anche quando si è molto anziani.

Con questa prospettiva è iniziato un dialogo che spero non terminerà mai, utile ai miei figli ma soprattutto a me. L'immagine del paradiso pieno di nuvolette e di angeli maschi oppure femmine, con o senza le ali era una scusa per non affrontare insieme il vero argomento che era quello, del distacco, della sofferenza, del dolore, della fine ma anche della naturalità e del senso di tutto ciò.

Permettere ai bambini di partecipare, di essere inclusi nelle discussioni, nei timori sulla morte, dà loro la sensazione di non essere soli nella sofferenza e dà contemporaneamente il conforto di sentire condivisa la tristezza. Ogni piccola morte li prepara gradualmente e li aiuta ad accettare la morte come facente parte della vita quotidiana. Forse la bisnonna è morta perché la sua vita è finita, diceva mio figlio qualche tempo fa, la morte non vissuta come ingiustizia, o come una malattia incurabile, ma vista come la fine naturale della vita, anche se causata accidentalmente.

Questo viaggio verso la morte, e i suoi perché, ci porta insieme alla ricerca di qualcosa che è una ragione per la morte ma anche la sola ragione per vivere.